Ieri, 10 Gennaio 2020, a Foggia si è tenuta una delle manifestazioni più partecipate della storia della città. Qualcuno ha detto ottomila, qualcun altro più di dieci mila, la maggior parte delle testate riporta: “ventimila persone in piazza”. Ventimila persone, unite in un corteo, in una lunga marcia partita dal luogo dell’ultimo omicidio avvenuto in Viale Candelaro 27 lo scorso 2 Gennaio e che ha visto la tragica scomparsa di Roberto D’Angelo, per poi attraversare il tristemente noto quartiere di Candelaro, fino a giungere per le vie del centro e fermarsi in via Lanza, dove un palco è stato montato per lasciare la parola ai parenti delle vittime di mafia, ai militanti volontari di Libera Foggia al vescovo monsignor Vincenzo Pelvi e infine a Don Ciotti, fondatore di Libera, che ha incitato tutti a “disinnescare la miccia della paura e della rassegnazione”.
Ma al di là delle retoriche, ieri in piazza ventimila persone hanno dato vita ad una manifestazione pulita, per dire “No” alla mafia, per dire che sono stanchi di sottostare ad un’immagine della città da cui non si sentono rappresentati. Foggia è, d’altronde, città vittima di un forte stigma: c’è tanta delinquenza quindi è una città di delinquenti. E allora ieri in ventimila hanno voluto mostrare che non è così, che c’è una Foggia che resiste, una Foggia di brave persone, di lavoratori, associazioni, scuole, individui pronti a reagire quando la giustizia chiama, se lo fa nel modo giusto. Mai come ieri il corte era un corteo misto, istituzioni religiose accanto ad associazioni di qualunque tipo (131 con esattezza, l’intero terzo settore locale), istituzioni politiche, forze dell’ordine, scuole, università, tutti uniti in un’unica grande voce per dimostrare che essere una città di emigranti va bene però che non sia perché non c’è altra scelta, che un’altra scelta è difficile, sì, ma possibile; che restare non è uguale a morire, forse è uguale a resistere, a lottare, ma che chiunque scelga di farlo avrà quei ventimila accanto; che Foggia non è una città sopita e indolente, tutt’altro; che basta toccare le corde giuste perché reagisca. Quei ventimila che non lasceranno sole le vittime, che proteggeranno i più vulnerabili, come proprio Don Ciotti si è raccomandato di fare.
E allora che Foggia riparta da qui, oggi. Che riparta dai luoghi della formazione, dove non è necessario trasferire la conoscenza dei concetti di “legalità” o “senso civico”, piuttosto è necessario, attraverso una didattica nuova, sperimentare la legalità e il senso civico già in aula; che riparta dalle 131 associazioni che quotidianamente militano nei diversi campi per una comunità più democratica, per difendere il diritto alla città; che riparta dalle istituzioni presenti, la ministra Bellanova, il presidente Emiliano, il sindaco Landella, i sindaci delle città di provincia, manifestanti indignati per dover sempre anteporre la lotta alla criminalità ai nuovi progetti per costruire città migliori e che Foggia riparta dal loro impegno per costruire lo scheletro culturale di una città giusta; che riparta, infine, dal cuore di ognuno di noi, nelle nostre pratiche quotidiane, nella cura dell’altro, nella lungimiranza che ci porta a restituire a chi verrà dopo di noi una città in condizioni migliori di come l’abbiamo trovata.
Un plauso va riconosciuto a Libera Foggia, ai suoi volontari e volontarie che hanno sapientemente coordinato la manifestazione in pochi giorni ed hanno mostrato il loro immenso valore e la loro tenacia.
Come ci ha tenuto a precisare Daniela Marcone, Libera Foggia si riunisce tutti i mercoledì nella sua sede per fare il punto sulle questioni più critiche e se anche un millesimo dei presenti ieri in piazza deciderà di partecipare, l’obiettivo sarà raggiunto. Perché Foggia, ieri, era la città più bella che c’è e può esserlo ancora, se lo vogliamo, insieme.